- la parola fallimento verrà sostituita con l’espressione “liquidazione giudiziale”;
- razionalizzazione delle procedure di liquidazione premiate con l’introduzione di incentivi se si rinvengono accordi stragiudiziali per la composizione della crisi;
- nuove norme “salva-famiglie”;
- più tutela per chi acquista immobili in costruzione.
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1. da fallimento a liquidazione giudiziale
La riforma del diritto fallimentare muove da una revisione linguistica: si eliminano le espressioni fallito e fallimento in favore di “liquidazione giudiziale”.
Inoltre, viene eliminata la dichiarazione di fallimento d’ufficio e viene introdotta una nuova definizione di stato di crisi.
Lo stato di crisi non è più incapacità definitiva di far fonte ai debiti, ma è definita come “la probabilità di futura insolvenza”.
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2. le procedure di allerta preventiva
Uno dei punti forti della riforma è la disciplina delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi.
Tali accordi avranno di natura stragiudiziale e non pubblica al fine di agevolare lo svolgimento delle trattative tra il debitore e i creditori.
All’uopo, saranno previste anche degli incentivi all’uso di tali trattative tra cui, per esempio, la riduzione degli interessi e delle sanzioni per debiti fiscali durante la fase della conclusione dell’accordo.
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3. Misure salva-famiglie
Inoltre, si prevede di concedere al debitore meritevole che non abbia alcuna utilità, nemmeno futura, ” di accedere all’esdebitazione, solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni, laddove sopravvengano utilità“.
Tra le altre, il debitore – consumatore potrà chiedere la ristrutturazione anche dei crediti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno.